mercoledì 31 ottobre 2012

I got game


Mi manca la musica hip hop degli anni '90.
Mi rompe tremendamente le palle pensare a cose tipo 'eh si, la musica di quel periodo era la migliore'. Che cacchio, non ho mica 55 anni!
Eppure quando la radio (internet o la tv) passa un pezzo di quel periodo, cavoli...'Bum, shake the room!' (e spero vi sia arrivata la citazione).
Mi manca R. Kelly, mi mancano Notorius B.I.G., 2Pac, L.L. Coll J...Willy! Eccome se mi manca 'The Fresh Prince'.
Ma, scusate...se dico 'Space Jam'? Dopo 'Chi ha incastrato Roger Rabbit' è il miglior film d'animazione di sempre.
Insieme a Michael Jordan (Michael Jordan!!!!) c'erano anche Larry Bird,Charles Barkley  (da non confondere con il più attuale Gnarls), Patrick Ewing e un sacco di altri campioni del Dream Team quello vero, quello che ha fatto la storia del basket.
E secondo voi che musica hanno scelto, i produttori, da abbinare al film? Hip hop shit, yo! (scusate, a volte mi lascio trasportare in maniera eccessiva).
Infatti nella colonna sonora ci trovate gente come D'Angelo (e il primo che dice 'Nino' lo picchio!) con una delle più belle canzoni di sempre: 'I found my smile again'.
Il primo R. Kelly (famoso, in quegli anni, per le canzoni e per la celebre 'doccia' con la quale intratteneva le sue fan...if you know what i mean...), un giovanissimo Seal, e uno squadrone da paura composto da Busta Rhymes, B-Real, L.L. Coll J e Method Man!!!! Come se nella stessa squadra giocassero Cristiano Ronaldo, Messi, Van Persie e Ibra.
O, se preferite, un kolossal hollywoodiano con i 4 migliori attori di sempre, fate voi.
Ma poi lo Snoop Dog delle sparatorie e dei film porno? Come ti viene in mente di produrre dei film porno e presenziare alle scene di sesso seduto su una poltrona, fumando un sigaro, e ammiccando alla telecamera mentre davanti a te succede di tutto? Sei un genio del male! Hai vinto tu!
I Black Street (alcuni di loro autori per Michael Jackson), il Wu-Tang Clan (con Ol'Dirty Bastard ricercato dalla polizia che riusciva comunque ad esibirsi durante i concerti per poi 'sparire' aiutato dai fan), Janet Jackson quando ancora era un minimo sana di mente e artisticamente una bomba, Coolio! Ma vi ricordate 'Gangsta's Paradise'? La trasmettevano ovunque e a ripetizione. Un brano stratosferico, dopo il quale seguirono altre hit meno interessanti (ma sempre di alto livello) fino ad arrivare al recente lancio dal campanile per inaugurare il carnevale di Venezia e un video con Aida Yespica. Che brutta fine.
Ho dimenticato dei nomi (Nas), altri non li ho volutamente elencati (ma perché...Erika Badu?) per il semplice fatto che mi uscirebbe il sangue dal naso a furia di ricordare e abbinare ad ogni brano/cantante/gruppo un pezzo della mia vita passata. Sarebbe uno tsunami emotivo non indifferente, e la mia protezione civile ultimamente ride al telefono delle disgrazie altrui. Meglio evitare.
Anche perché quando apro la mia personalissima enciclopedia musicale mi estraneo dalla realtà e cado in trance da classifica. E tutto ciò mi piace da impazzire. Una sorta di 'trip' ma senza effetti collaterali, se non, appunto, un po' di nostalgia.
Vogliamo parlare delle trasmissioni radiofoniche? Billy Costacurta con Massimo Oldani su Radio 101, la vera Radio 101! Quella che per un compleanno ha chiamato i Boyz 2 Men a cantare! Ma quando capita più??
Paolo Maldini con Ringo su Radio 105?
E, soprattutto, Albertino con One-Two One-Two! Un must! Da non dimenticare anche Alessandra Zacchino su Station One: ne sapeva e la musica spaccava.
Oggi gli unici che ritengo essere ok sono i Club Dogo: non mi fanno impazzire ma devo ammettere che la produzione che hanno alle spalle pare '100% american style'.
E poi? Poca roba, a mio modesto parere. Poca e poco pubblicizzata.
Ed è per questo che adesso mi siedo sul divano, metto le cuffie, spengo la luce e vi saluto.
Ci vediamo domani. Do do domani.


http://www.youtube.com/watch?v=Bmk95M7s86E

domenica 28 ottobre 2012

Grazie...ne prendo due.


Ho un grosso problema con il vino. Si, è vero, devo ammettere che non riesco in nessun modo a risolvere la questione: parlarne mi crea sempre molto imbarazzo.
Davvero, non dico tanto per dire; ad oggi credo sia uno degli argomenti che affronto con con maggior difficoltà quando, al ristorante, mi si presenta il momento fatidico, il momento in cui arriva il cameriere e mi chiede: 'Insieme all'acqua porto anche qualcos'altro da bere? Del vino?'.
E puntualmente, la mia risposta è sempre la stessa, la stessa da circa 15 anni: 'Per me no, grazie. Non bevo vino, non mi piace'.


Silenzio.


Le balle di fieno dei film western magicamente compaiono e scorrono lente a pochi metri dal tavolo, con il loro fruscio che rimbomba all'interno della stanza e una specie di bolla d'aria che risucchia tutti i rumori del mondo. La sensazione di vuoto che ne deriva provoca il suono più assordante che possiate mai sentire.
Il cameriere mi guarda. Socchiude appena gli occhi. La sua bocca assume una smorfia tendente quasi al riprovevole e girandosi, dopo essersi garbatamente riappropriato dei menù, sussurrando appena si lascia sfuggire una parola semplice semplice: 'sfgt'.
No, non ho sbagliato a scrivere, è proprio questo che dicono seempre, sempre, sempre: 'sfgt'.
Una parola che, ovviamente, diluita in un parlato fluente e più colloquiale assume il significato che immagino abbiate intuito: sfigato.
Non voglio approfondire ulteriormente la questione, ma provate a pensarvi fuori a cena con una ragazza che conoscete da poco. Magari si tratta di una semplice cena, per l'appunto, e non volete succeda nulla di particolare. Magari, invece, è la donna della vostra vita o magari si tratta unicamente di un' amica verso la quale volete fare colpo perché particolarmente simpatica e volete, a tutti i costi, che lei abbia una buona impressione di voi.
'SFGT'.
Odio quando mi ritrovo in queste situazioni. Non so come comportarmi. Che cosa posso fare? Chiedere che mi portino una bottiglia del rosso più buono e tracannarlo senza prendere fiato? Ordinare le cinque bottiglie più costose e fingermi un enologo esperto ma in incognito? Oppure andare di caraffa colma di vino della casa e rischiare un coma etilico da trattoria?
Col cavolo. Non posso. E non mi va. E per un motivo del tutto normale: il vino non mi piace. Punto.
Che hai da guardare così? Sono strano? Ti sembro un alieno con sette braccia e una proboscide al posto del naso? Non mi pare ciccio, quindi è inutile che mi guardi così.
Questo è il monologo da film che parte nella mia testa. Ma solo lì, perché per il resto sprofondo lentamente nella sedia, vergognandomi un pochetto e sperando che la mia uscita non abbia ripercussioni sul resto della serata. Furbo eh?
Che poi, le due dita versate nel bicchiere per il brindisi o per la sorsata da 'compagnia', diciamo così, la faccio volentieri, non ho nessun problema. Non sto dicendo che il vino è la mia kriptonite.
Ma potete riempire il mio calice con una qualunque tipologia di succo d'uva ad alta gradazione alcolica che per me vale sempre lo stesso discorso, ovvero: si tratta sempre di una qualunque tipologia di succo d'uva ad alta gradazione alcolica.
Dai, avanti. Forza. Andiamo, che già li sento gli esperti del settore, enon parlo di chi, l'esperto, lo è di professione o per vera passione.
No, cari miei: parlo del vostro amico, del vicino di casa, di mister 'io di vini me ne intendo'. Si, proprio di lui, di quello che durante una cena prende la bottiglia e comincia la lezioncina da impartire ai commensali
Quello che 'ma scusa, da quando te ne intendi, tu?'.
Il tuttologo inizia lo show scandendo (lentamente e sottovoce) il nome impresso sull'etichetta, quasi a prendere tempo per permettere al suo cervello di recuperare, al più presto, la scheda riassuntiva della bottiglia che stringe nelle sue mani.
La guarda. La gira. La riguarda. Controlla la data. Mormora un 'ottima' a chi siede al suo fianco e comincia l'operazione di apertura.
Dopo aver lentamente estratto il tappo di sughero, emettendo un 'pop' molto leggero, e averlo annusato per poter dare il via 'olfattivo' al processo di valutazione, con una mano prende il calice nel quale versare poche gocce di vino da tenere in bocca il tempo necessario perché queste gli 'raccontino' la loro storia.
Inizialmente, dopo il primo sorso, il maître improvvisato non parla: mugola. Perché? Ma perché devi mugolare? È vino, non è fieno e tu non sei una mucca.
Ma andiamo avanti.
Dopo il siparietto iniziale riporta il bicchiere sotto il naso per annusarlo nuovamente, assaggiarlo una seconda volta, e cominciare lo show.
Lo spettacolino dura qualche minuto.
Se vi trovate al ristorante, potete sfoderare l'espressione del 'mi scusi, ma io sono qui per caso' al maître che, comunque, a questi specialisti della domenica ha già fatto il callo, e infatti l'ordine per il numero di bottiglie da servire al tavolo ( con tanto di 'complimenti, molto buono questo vinello' da parte del fine conoscitore) è già partito.
A casa, invece, le alternative sono molteplici perché nel frattempo, se conosci i tuoi polli, puoi:
Guardare il risultato della partita in diretta tv.
Controllare la cottura della pasta, se sei il padrone di casa, oppure controllare la cottura della pasta andando ad assaggiarla se sei ospite.
Controllare il telefono e magari pubblicare su qualche social network un resoconto del miracolo a cui state assistendo.
E per ultimo, non senza un briciolo di sadismo, potete mettere in atto la vostra personale vendetta nei confronti del mondo e di tutti quelli che hanno approfittato della vostra sincerità e della vostra buona fede.
Appena 'l'operazione vino' prende il via, avvicinatevi all'intenditore.
Lasciategli il tempo di vestire i panni del supereroe acclamato dalle folle per la sua abilità nel maneggiare il cavatappi.
Appoggiategli una mano sulla spalla e chinatevi leggermente verso di lui.
Sarà proprio nel momento in cui lo l'eno - Stanislavskyij del Monferrato assumerà la posizione tronfia del perfetto oratore, quando sta per preparare il discorso perfetto, proprio in quel momento lì...voi, con la massima naturalezza dell'universo, pochi istanti prima di abbandonare momentaneamente l'affollata scena del crimine, sussurrerete all'orecchio del vostro amico una parola semplice semplice, ma dall'intenso valore emotivo: 'sfgt'
Credetemi: non sarà necessario aggiungere altro.


martedì 23 ottobre 2012

Eravamo un amico al bar



Mi siedo al tavolo di un bar. Non è la classica mattina con tanto di rassegna stampa, per me imprescindibile soprattutto la domenica (eh, lo so, sono abitudinario. Leggo la targhetta dentro l'ascensore). Si tratta di un pomeriggio qualunque, di un giorno della settimana qualunque, in un bar qualunque per bere un tè. Il tè, però, dev'essere buono, non può essere un tè qualunque. Almeno i piccoli piaceri teniamoceli stretti, come vuole la (nostra personale) tradizione. E di qualità, mi raccomando. La qualità può fare la differenza.
Accanto a me, due persone discutono. Parlano in maniera fitta, ma le parole sono scandite una per una, si capisce tutto. Sembra lo facciano apposta per farsi sentire da chi li circonda. Sussurrano però, il che mi fa pensare che non vogliano divulgare il contenuto dei loro discorsi oltre il raggio del tavolino che stanno occupando. Non badano alla forma anche se raramente sbagliano dimenticando un soggetto, non coniugando un verbo con il tempo della frase precedente. Capita anche che scivolino, ogni tanto, nel dialetto per rendere più espressivo qualche concetto.
Parlano d'amore. Amore e musica. Giuro, se avessi avuto di fianco chiunque altro me ne sarei andato, maledicendo l'intrusione in quei cinque minuti di tranquillità che avevo deciso di regalarmi.
Invece sono bastate poche parole, poche frasi semplici ma azzeccate, e ho deciso di chiudere fuori il mondo per sentire dove volevano andare con quelle loro filippiche interminabili che però suonavano come una ballata folk in un pub irlandese poco prima dell'ora di cena. Un suono caldo, che sa di casa, in un pomeriggio assolato. Che strano.
'Allora, a che cosa pensi?'. 'A niente'.
'Si, anche mia moglie non pensa a niente ma poi la vedo che si agita, che si contorce. Che s'incazza. Sei mia moglie?' gli chiede ridendo.
'Mica mi agito. Non capisco perché pensi che alla fine tutto debba cambiare o, addirittura, finire. Se stai bene stai bene no? Stai con lei da 6 anni, scopare scopate ancora, ridere ridete ancora. Ti manca quando non c'è. Che cazzo vuoi di più?'.
'Ma si, ho capito, è che dopo un po' che devi fare? Torni a casa, c'è lei, la baci. Mangiate insieme. Film, cinema, cena fuori. Sto cazzo di sushi che ogni volta mi fa stare male. E poi? Figli non ne voglio'.
'Nemmeno lei?', lo interrompe l'amico chiedendo, nel frattempo, un altro caffè.
'Lei dice di no. A me sta bene così. Ma poi se già adesso sono in crisi perché non ho più la vita di una volta...pensa con un figlio! E dove me ne vado? Al manicomio? Così almeno siamo io e lei e basta. Se c'è da decidere decidiamo in due e per due'.
Il cameriere non arriva, per cui chiedono all'altro, quello col grembiule bianco e più garbato, se il caffè è stato segnato. Ah, e mentre ci sono, anche io gli domando se posso cambiare ordinazione: fa troppo caldo per un tè caldo.
'Metti caso che fossimo qui io, lei e il bambino. Loro non bevono l'acqua frizzante. Io chiedo un bicchiere e il bicchiere arriva. Ho sete. Dopo il caffè l'acqua frizzante mi serve, mi toglie il gusto'.
'Ma come ti toglie il gusto' lo interrompe l'altro sorridendo quasi a compatirlo per la stranezza appena detta.' Allora se non mi fai parlare non finiamo più. E fatti i fatti tuoi. Posso prendere il caffè e non volere il gusto in bocca dopo averlo bevuto? Bevimelo tu allora, dai bevimelo tu'. E gli tira una pallina di carta come avrebbero fatto due bambini all'asilo per farsi un dispetto. Un dispetto che sa di complicità.
'Ti dicevo: loro, l'acqua frizzante, la bevono. Però...se la vedono lì, appoggiata al tavolo, la possono volere. E stai sicuro che la vorranno. Capisci, non sarei più libero di bere nemmeno un bicchiere d'acqua senza doverlo per forza di cose condividerlo. Un bicchiere d'acqua! Non la luna. Non ci posso pensare'.
Mi squilla il telefono, perdo l'inizio della risposta dell'amico. E questo costa una maledizione a chi mi stava chiamando. Non conosco il numero e non rispondo. Non rispondo quasi mai quando non conosco il numero.
'Tu sei malato! Non puoi condividere un bicchiere d'acqua con la tua famiglia? Con quelli che dici di amare? Ti puoi comprare un bottiglia e bere quanti bicchieri d'acqua vuoi! Ma che cazzo di ragionamento è?'. E si gira. Sembra offeso. Effettivamente è un discorso del cazzo. Si tratta di tuo figlio, della tua compagna. Non estranei. Li hai scelti tu. Questo penso.
'Non riesci a capire. Non è il singolo bicchiere d'acqua. È il momento. Il gesto. Non sei più libero di fare niente. E se non sei più libero nemmeno di bere un bicchiere d'acqua per conto tuo è la fine. Pensaci. Oggi è il bicchiere d'acqua. Domani la palestra. Poi la serata al cinema, la birra con gli amici, la playstation. Sono tutte cazzate, lo so. Ma la vita non è fatta di cazzate? E se te le togliessero tutte? Tutte d'un colpo: via. Compresi i tuoi libri, la tua musica. Pensa se non riuscissi più a trovare il tempo nemmeno per sentire un cd per intero'.
Mi spaventa questo discorso. Certo, è assurdo. Amare non dovrebbe essere un impegno ma una spinta naturale no? Vai con la filosofia!
Ma la stessa cosa gliela chiede l'amico. La risposta non arriva, perché il tizio si gira per prendere il portafoglio, lascia i soldi sul tavolo, si alzano e insieme se ne vanno. Ridono.
Almeno non hanno litigato. Sembrava potessero farlo.
Ma non mi hanno detto come andava a finire. Che fate, lanciate il sasso e tirate indietro la mano? Tornate qui, penso. Almeno datemi un finale alternativo.
Niente. Se ne sono andati.
E adesso? Cazzeggio. Prendo il telefono, mando un messaggio e leggo un paio di notizie su twitter.
Poi arriva il cameriere. Mi porta il caffè. Il toast. Ed un bicchiere d'acqua.
Frizzante.

lunedì 22 ottobre 2012

Il peso della spesa


Andare al supermercato mi piace. Vi tolgo subito ogni malizia: non ho mai conosciuto nessuno al supermercato, niente incontri casuali stile commedia romantica inglese. Quando mi è capitato di urtare accidentalmente una qualsiasi ragazza (o donna) mai mi è stato detto: 'oh, che coincidenza!', ma più di sovente: '...zo, ma che...?'. E la prima parola NON è 'ragazzo'.
Fatta questa premessa: andare al supermercato mi piace.
Mi piace perdermi tra gli scaffali. Sono diplomato in sopravvivenza culinaria, oltre non vado.
Certo, ogni tanto ci provo, ma ho sempre in frigo qualcosa di fresco pronto a correre in mio aiuto. Assolutamente vietati surgelati, scatolame e salti di tutti i tipi: male che vada verdura cruda, prosciutto, tonno e il classico uovo della salvezza. Si perché l'uovo serve sempre, non sai mai che cosa può capitare in fase di preparazione del pasto, per cui l'uovo della salvezza è un alimento imprescindibile nel mio frigorifero. E credo anche nel frigorifero di molti amici miei.
L'uovo e il sale. Tant'è che quando bussano alla porta e non aspetti nessuno e ti chiedi chi cavolo possa essere a quell'ora e...chi sarà mai? Taaac! Il classico vicino. E cosa ti chiede? Taaac! Un uovo. O il sale, per l'appunto. Vedete? Tutto torna.
Vi risparmio discorsi inutili sul quanto mi piaccia stare nel reparto biscotti a ricordare quando, con mia mamma, potevo scegliere due o tre confezioni diverse di cui poter fare indigestione prima di andar a scuola. La pubblicità s'impossessava del mio cervello, e tutto quello che era mulino, famiglia, latte, cioccolato e Natale...doveva essere mio!
Detto questo...fine! Basta. A casa. 
Senza pagare? Assolutamente no. La spesa, ovviamente, va pagata. Alla cassa. Dopo una discreta coda. Dopo una discreta coda che di fianco scorre sempre più veloce anche se nella vostra fila avevate contato meno persone o più persone con meno prodotti. Sempre: la fila accanto scorre più veloce. Ma non è questo il problema anzi, la considerazione in sé è alquanto banale. Ma aiuta ad individuare il vero problema dello stare in fila alla cassa: le persone! Detto così non è molto bello da sentire (o leggere). Ma è così, il vero problema delle code al supermercato sono le persone! Quelle che fanno come se quella cassa fosse riservata solo a loro: 'non c'è nessuno in coda all'infuori di me'.
Beh, carini...non è così! Ci sono io! E ci sono altri che aspettano il loro turno per uscire dal supermercato e vivere la propria vita abbuffandosi di quanto scelto accuratamente da ogni singolo scaffale. Lo so che sembra il discorso di un folle, ma vi faccio un paio di esempi e vedrete che mi darete ragione.
Esempio numero 1: mamma con bambino fuori controllo. Età intorno ai 4-5 anni, non vede l'ora di buttare la spesa sul nastro e non si cura minimamente da chi e da cosa sia circondato. Il problema
è che davanti a lui ci siete voi e lui lancia le sue confezioni di detersivo da 24 dosi sulla vostra ricotta, sui vostri pomodori e, quel che è peggio, sulle vostre indispensabili uova!!! 'Maledetto, quando sarai un giovane trentenne affamato ti pentirai amaramente di quel che stai facendo. Piccolo figlio di p...' pensi, guardando la madre con sguardo disperato in cerca di aiuto e sorridendo al demone nano con il tuo sorriso più falso.
Ma tanto non ce l'hai, non c'è nel catalogo delle facce, quella con lo sguardo tenero da rivolgere ad un bambino nel momento in cui questo è in preda ad un attacco isterico. Non sei credibile, non la dai a bere a nessuno. Non hai lo sguardo compassionevole, non stai pensando 'che carino, lo vorrei anche io un frugoletto così che mi tenga compagnia'...no! Lo odi!
Vorresti fosse la tua ricotta, il tuo pomodoro, il tuo uovo. Signor Magalli lo faccia a me il gioco della torre, chieda a me chi voglio buttar giù se l'uovo o questo mini tirannosauro senza guinzaglio. 
Ma alla fine sorridi. Dici 'oh, ma non importa, si figuri...è solo un bambino'. Già...
Ma non fai a tempo a pensare a come vendicarti su di lui e su quella hippie di sua madre che...eccolo lì, l'esempio numero 2: l'energumeno sudato!
Lo so, gli esempi potrebbero essere innumerevoli, ma ultimamente mi stanno capitando questi due, spesso anche contemporaneamente. Forse insieme al marrone sono il must di questo autunno/inverno 2012.
Comunque, l'energumeno sudato è il male: è quello che s'impossessa del nastro, lo riempie di cose inutili, di cui ignora la provenienza, il prezzo e il modo d'utilizzo. E mentre il cassiere passa al laser il codice a barre lui che fa? Manda un sms! Un sms...al minuto! Non si stacca da quel telefono, chiama, scrive, controlla facebook, parla con l'amico e gli mostra le foto che si è scattato da solo per cercare una nuova immagine del profilo.
 E nel frattempo? Essendo energumeno rimane piantato in mezzo alla corsia, blocca tutto, non ti permette di passare. Perché mentre lui sviluppa i suoi sensi così 'social', la sua spesa è già pronta per essere messa in busta. Ma lui non può! Eh no, ha ancora il telefono in mano. 
Allora provi a superarlo, cerchi di doppiarlo e di passare nello spazio tra la sua pancia e la confezione di caramelle, ma lui tira fuori la sua arma segreta: l'ascella. Si, quell'ascella di metà stagione, quando di giorno ci sono 25 gradi e la sera 15, per cui ti vesti a cipolla. Solo che a volte non hai voglia di toglierti la felpa, quindi la tieni anche se sudi, magari aprendo appena la zip. E la cipolla non è più solo un modo di dire, ma una dura realtà. Da usare contro chi vuole superarti per recuperare i suoi acquisti e poter dileguarsi da quell'inferno che è diventato il supermarket.
Alla fine, quando il 'buro' se n'è andato e sei lì con l'ansia di aprire al più presto le buste per infilare dentro quel che resta della tua spesa schiacciata...il cassiere passa al cliente successivo, e accumula i tuoi acquisti in un minuscolo angolino della cassa, colpendo violentemente il tutto con la barra separatrice. Ed è allora che non ti resta che pagare quel che rimane della tua felicità iniziale, infilare tutto in un sacchetto biodegradabile ed uscire a passo svelto, ripromettendoti di tornare solamente negli orari più assurdi, quando tutti sono a lavoro o già con le gambe sotto al tavolo.
Ma non fai nemmeno due passi, superi la porta scorrevole e la busta biodegradabile si rompe. Si ricicla facilmente, certo, ma basta una confezione di riso e si straccia. Allora prendi tutto in mano, ti avvii verso casa per lasciare quel che rimane nel frigo, chiamare un amico e dividersi un kebab.
Io odio andare al supermercato.

domenica 21 ottobre 2012

Mi scusi...è occupato?


Spostarsi il fine settimana: lo sconsiglio a chiunque me lo chieda.
Certo, un qualsiasi giorno di agosto non può essere minimamente paragonato ad un qualunque fine settimana di ottobre, ma vi assicuro che le trappole si nascondono persino nei più tranquilli giorni infrasettimanali di un tranquillo mese autunnale.
Negli ultimi anni la necessità (lavorativa specialmente) e la facilità (per quantità di mezzi e offerte) di spostarsi, in treno o aereo, hanno completamente rivoluzionato il concetto di viaggio. Il mio soprattutto, perché quando ero più giovane (si, parlo come mio nonno! Uccidetemi!) il viaggio nel weekend lo vedevo come una sorta di 'lusso', diciamo così.
Al liceo, il sabato e la domenica, andavi in montagna? O al mare? O in Francia? O comunque...'andavi'? Cavoli, eri un fico! Non era semplicemente una questione di soldi (ma anche si), quanto soltanto avere in testa 'l'idea di andare via'. Non ce l'avevo. E ammiravo, invece, chi lo faceva. Sfigato? Si, un pochino, può darsi.
Ora, invece, una qualsiasi città europea può essere visitata in poco e con poco. Praticamente ciò che prima era la scampagnata con i cugini con tanto di pasta al forno preparata dalla mamma ora è diventato il weekend a Parigi. Non è sbagliato, no? Ovviamente, senza pasta al forno.
Tutto questo per dire: non viaggiate la domenica e, se proprio dovete, non fatelo in orari di punta.
Anche se pensate che gli orari di punta non possano esistere nei periodi che non siano di vacanza...sbagliate! Esistono invece! Sempre! E la cosa peggiore è che la gente tutto questo lo ignora!
Ulteriori aggravanti? Vediamo: un treno veloce che 'uuuuhh...ma quanto va veloce questo treeeenoooo!!!!' o 'vabbè, che vuoi che siano 15' di ritardo! Tanto va a 300 all'ora!', ad esempio.
Oppure, in questo specifico caso, una comitiva di tifosi. Non ultras sfegatati della curva, no. Più semplicemente un gruppo numeroso di persone che, per il puro piacere di seguire la propria squadra in trasferta, ha deciso di mettersi in viaggio. Sapete, negli ultimi anni la necessità e la facilità di trovare prezzi vantaggiosi...
Eviterò di scendere nei dettagli: eviterò di dire quale sia la città di partenza, quella di arrivo, quella in cui scenderò io, di quale squadra siano i tifosi e da dove provengano.
Ma un aneddoto ve lo devo raccontare.
Nonostante il treno sia uno di quelli super pubblicizzati con slogan quali 'un nuovo modo di viaggiare' perché 'il futuro è oggi', beh...le toilette sono indisponibili. Il fine settimana. In prima classe. Può capitare. Certo. Una volta, non sovente. Ma sorvoliamo.
Un tifoso, ben vestito, abbronzato, con rinomati marchi di vario genere presenti sull'etichetta di jeans, maglietta, felpa, occhiali, scarpe e chincaglieria varia, attende il suo turno davanti alla porta del bagno.
La luce rossa di entrambe le porte (per chi non lo sapesse, ogni carrozza prevede due toilette) è rossa da poco dopo la partenza. Sono passate circa due ore e due fermate. La luce continua a rimanere rossa.
Inizialmente credo sia logico pensare che qualcuno, ieri sera, abbia mangiato un po' pesante. Può succedere. Non ve lo auguro.
O magari che in un momento di distrazione qualcun'altro si sia 'imbucato' saltando il turno di attesa. Può capitare, a meno che non passiate il tempo a fissare la porta da due centimetri di distanza in attesa che si apra.
Ma dopo due ore, con qualche passeggiata tra una carrozza e l'altra per ingannare l'attesa, il tifoso è ancora lì.
Comincia a rumoreggiare. Si, esatto: anche in quel senso lì. Commenta ad alta voce, per farsi sentire dagli amici, il fatto che qualcuno si sia chiuso dentro e lui non possa usufruire del servizio (versione edulcorata).
Passano i minuti. E devo andare in bagno pure io. Mi sporgo e vedo che il segnale rimane su 'occupato' e che il tizio continua a sostare lì davanti. Mi alzo. Guardo. 
Attaccati ad entrambe le porte ci sono due cartelli ben visibili con su scritto 'fuori servizio', ma il ragazzotto pare non abbia letto.
 Continua a lamentarsi. Si, esatto: anche in quel senso lì.
Passa un addetto alla pulizia del treno che segnala l'indisponibilità dei bagni proprio nel momento in cui la comitiva intona un paio di cori da stadio. Cori, diciamo così, molto 'regionali', per la precisione. 
Ovviamente l'annuncio dell'addetto alle pulizie non viene nemmeno percepito come sottofondo, e il tifoso torna davanti al bagno. Bestemmia. In dialetto. Gli amici lo prendono in giro. E lui s'innervosisce ancora di più. Bestemmia. In italiano, questa volta, magari prima non tutti avevano capito. Ma nessuno lo ringrazia per questa cortesia.
Non voglio sapere come va a finire. Mi alzo e mi sposto. Sono quasi arrivato.
Mi basta sapere che la 'giuventus fa cagare come chilla bocchina e mammeta che s'è mmuorta indobbagno'.  

martedì 16 ottobre 2012

Fumetto. Si, fu...


E' da domenica che provo a cercare le parole esatte per descrivere, con la giusta intensità, ciò che mi è accaduto. Non è semplice. E' alquanto difficoltoso trovare il giusto modo per raccontare il tutto. 
Perché se da un lato vorrei evitare di essere troppo drammatico (sono vivo e vegeto e ne posso tranquillamente parlare, per cui questo è bene), dall'altro non vorrei nemmeno che la cosa passasse in secondo piano catalogata nello scaffale delle banalità (sono vivo e vegeto, ne posso tranquillamente parlare ma parlandone mi sale l'odio, per cui questo è male).
Non sono un patito di anime. Nemmeno di manga o fumetti in genere. Ma! C'è un 'ma'. Forse più di uno.
Il primo: negli ultimi 26/27 anni il mio essere abitudinario mi ha spinto ad acquistare settimanalmente una copia di Topolino. Niente abbonamento. Amico giornalaio, tutta la vita. Non mi piace farmi portare le riviste a casa. Ho sempre paura che arrivino tardi, che i condomini la prendano in prestito (ladri!), che il postino la dimentichi o sia in ritardo o la porti tutta spiegazzata, che causa festività le consegne slittino di troppi giorni. Ma soprattutto...che la sorpresa da montare, i cui pezzi escono separati in 4 settimane, arrivi già montata! Non posso tollerare una cosa del genere! E' come ricevere un regalo già scartato! Eh no! Io voglio la carta, voglio il fiocco, voglio quel momento lì, quello che viene 'prima'! Con i giochini già montati ci giocate voi! Voi, che preferite le sorprese dell'ovetto kinder quelle già fatte e finite. Che gusto c'è? Preferisco un tristissimo pappagallino che dondola sul trespolo a cui attaccare gli adesivini, piuttosto che un pinguino o una casetta pronti all'uso.
Il secondo: Dylan Dog. Dal numero 5 al numero 100 ero tra quelli che non vedevano l'ora arrivasse in edicola l'inedito per poterlo divorare nel giro di un'ora (andava gustato in tranquillità) per poi acquistare le prime e le seconde ristampe dei numeri usciti in precedenza, quando ancora Dylan non era un amico ma un ex alcolizzato che abitava a Londra e molto somigliante a Rupert...Rupert chi? Ecco.
Il terzo: Diabolik. Fino alla scomparsa delle sorelle Giussani Diabolik era davvero 'il re del terrore'. Era lui! Il criminale ideato per il tragitto in metropolitana, violento, geniale e perennemente in fuga. Successivamente beh...è sempre rimasto un ladro, ok, ma molto più simile ad un moderno James Bond. Leggete, se volete, una qualunque storia scritta fino ai primi anni '90 e confrontatela con una più attuale...poi ne parliamo. Tant'è che ad un certo punto mi sono limitato a prendere solo albi speciali, alcune pubblicazioni a colori e le uscite semestrali. Niente di più.
Fatto l'elenco dei 'ma', vediamo come ve la cavate in matematica. Addizioni, più precisamente.
Sommate i seguenti elementi:
  • file di scatoloni piene zeppe di giornalini (comprese edizioni speciali, numeri inediti e/o introvabili).
  • Una cantina.
  • Un tubo dell'acqua che si rompe.
  • L'umidità.
  • Svariare settimane passate all'insegna del non sapere nulla.
Ora, sottraete decine e decine di copie irriconoscibili gettate perché più simili a tartufi neri o a funghi, di quelli che si trovano attaccati agli alberi nei vialoni dopo giorni di pioggia, quelli che nemmeno i cani annusano.
Fatto? Perfetto. Il risultato è la parola che non mi viene. O meglio, mi viene. In varie forme, con più sfumature e declinata all'inverosimile. Ma voglio vedere se è la stessa che è venuta in mente a voi dopo aver letto questo post.
Voglio vedere se avete studiato. E, soprattutto, se il libro era lo stesso che usavo io.  

sabato 13 ottobre 2012

Non chiedetemi perché.

--> Vi capita mai di non riuscire a spiegarvi il 'perché' di certe situazioni? O meglio, avete mai la sensazione che qualcosa sia accaduta per un motivo ma proprio non riuscite a capire quale?
A me qualche volta capita.
Beh, se poi con 'qualche volta' intendo il primo giorno della settimana, che precede i successivi 'sovente,' 'spesso', 'sempre', 'ecco...lo sapevo', 'ma perché sempre a me?' e ultimo il 'e che ca**o!'...eccovi spiegato il motivo di questo post.
Comunque non volevo buttarla sul melodrammatico, assolutamente! Questa volta il mio tentativo di capire la causa di certi avvenimenti è, in realtà, un finto 'provare a capire'.
Mi spiego meglio: vivendo nel mondo dei frutti canditi spesso mi bastano piccolissime cose affinché la mia giornata torni ad essere di un colore gradevole e non nera come l'umore (umore nero, intendo).
In questi giorni, tante tesserine di un immaginario (pronunciato nel modo in cui è scritto) puzzle volano liberamente nell'aria per poi incastrarsi dolcemente tra di loro a formare soggetti spesso diversi ma alquanto piacevoli.
Prima tesserina: l'autunno, quello vero. I colori, l'odore dell'aria, le castagne ai piedi degli alberi e ai bordi delle strade, la luce del sole e l'intensità del blu della notte fanno da sfondo ad un cambiamento che non è solo ambientale. Almeno, per quel mi riguarda. Molte cose e persone stanno assumendo forme e ruoli differenti. Addirittura posso chiamarle con nomi nuovi perché non sono più ciò che ero abituato a conoscere fino ad oggi. Nel bene e nel male. E tutto questo trasformarsi avviene mentre la natura cambia vestito e si prepara ad indossare qualcosa di più caldo e confortevole.
Seconda tesserina: Torino. Non ci venivo così spesso da tanto tempo. Mi manca. Mi manca sempre. Mi piace sempre da morire. In questa stagione poi. Chi ci abita, probabilmente, non riesce a vedere come cambia gradualmente. Invece prendendola a piccoli morsi, come si farebbe con un croissant alla marmellata buonissimo ma molto molto piccolo, il tutto si assapora ancora di più.
Altra tesserina: la musica. Ecco, è in questi casi che il motivo per cui accadono le cose non m'interessa. Quando la colonna sonora delle giornate è perfetta per quello che sta accadendo, ma perfetta non per scelta ma per puro (si pronuncia 'culo') caso, non ho bisogno di sapere. Mi basta sentire.
In questi giorni è uscito il nuovo lavoro dei The Wallflowers. L'album è intitolato 'Glad all over'. Non l'ho ancora ascoltato così tante volte da poter affermare se davvero mi piace oppure no, ma sembra un buon disco.
Jacob Dylan è uno dei pochi figli d'arte che ha saputo dire la sua, nonostante un'ombra perenne delle dimensioni di un tale Bob. Certo, se veramente vuoi distaccarti dal lavoro di tuo padre non mantieni il cognome fittizio e ti fai chiamare con quello originale, ma io avrei fatto lo stesso. Anzi, forse peggio: 'piacere, sono Dylan Dylan, ma puoi chiamarmi Bob'. Per cui...
La canzone perfetta per questi giorni non appartiene a quest'album, ma a quello del 1996 'Bringing Down The Horse'. La traccia è la numero due: 6th Avenue Heartache.
Non so perché calzi particolarmente a pennello per questi giorni, per questo periodo, per quello che sono io attualmente.
Ma sapete una cosa? Questa è una di quelle volte che scoprire il perché di una cosa non m'interessa.
Vi ho mai parlato di quelle situazioni particolari in cui la musica pare essere la risposta perfetta a mille domande che sembrano non averne nemmeno una?

mercoledì 10 ottobre 2012

Le parole. Il vento. La musica.

Mi piace condividere. Che siano oggetti, cibo, pensieri, opinioni...non importa la 'densità' dell'oggetto quanto la qualità e la voglia di renderlo comune. Se però devo scegliere tra le varie possibilità scelgo, senza dubbio, la musica. La musica è il regalo più bello che una persona possa farmi o che io possa fare a qualcuno (cari amici ricordatevelo alla prossima festività e, soprattutto, apprezzate ogni singola nota, please!).
Questa sera niente considerazioni, niente profondi viaggi nel vuoto: niente pippe mentali, insomma.  Solo un cenno al concerto di un artista che pensavo essere semi-sconosciuto ma, al contrario, alquanto noto data la coda di circa 45' per l'acquisto del biglietto.
La location, poi, è stata molto suggestiva: una chiesa. Una stanza non molto ampia, con quel classico riverbero dato quattro pareti piene di antichi affreschi, soffitti con intarsi particolarmente arzigogolati, colonnati e arcate ai lati  e con, al centro, un altare. Una chiesa, appunto.
Cioè, ogni volta che entro in una stanza che presenta la maggior parte delle caratteristiche sopra elencate immagino che abbia quel suono lì! Quello della messa della domenica mattina, mentre aspettavi di andare a giocare a pallone immediatamente dopo la funzione e, nella testa, il tempo veniva scandito da un'eco di parole incomprensibili, diverse ma tutte con lo stesso suono...ono...ono leggermente metallico.
L'uomo più alto sulla terra, The tallest man on hearth. Viene dalla Svezia.
Procedendo, come spesso mi capita, per luoghi comuni, ogni volta che penso ad un paese del Nord Europa penso (non necessariamente in quest'ordine) al freddo, alla neve, agli orsi polari, alla cioccolata calda e alle foreste. Soprattutto quest'ultime me le figuro piene di piante di un colore verde smeraldo, con alberi enormi che resistono al freddo e rimangono rigogliosi anche con il gelo. E in questa fitta boscaglia, dove un po' di neve a terra rimane sempre, immagino ci sia un po' di vento. Non ci sono rumori nel mio nordico immaginario, solo un leggero soffio d'aria che trascina nello spazio il suono della vegetazione e degli animali che ci abitano. Se dovessi descrivere a parole il suono di cui parlo...beh, non ci riuscirei. Sarebbe difficile. Anche se mentre ne scrivo lo posso quasi toccare, lo vedo questo suono, che si trascina sotto il sole tra gli alberi e le rocce, non riesco a trovare aggettivi adatti a renderlo immediato nella testa di chi mi ascolta. O di chi mi legge, in questo caso.
La cosa bella di questo mondo è che, a volte, capita che qualcuno ti aiuti a trovare parole che tu pensi di non avere:
"The Tallest Man on Earth- There's no leaving now".

martedì 9 ottobre 2012

Come porti i capelli bella bionda

Che cosa significa quando una ragazza cambia taglio e colore di capelli?
Ci sarebbe qualche fondamentale differenza se, per caso, cambiasse solo il colore lasciando intatta la pettinatura o se, al contrario, stravolgesse l'acconciatura evitando d'intaccarne la colorazione (si, sembra che stia parlando di dare il bianco a casa, scusate)?
Non lo so, sinceramente non me ne intendo molto di parrucchieri per signora e dintorni anche perché per circa due anni ho fatto visita al barbiere, credo, giusto un paio di volte (con risultati estetici alquanto discutibili).
No, perché credo che la questione taglio/colore possa tranquillamente celare uno 'sturm und drang' emotivo non indifferente. E mi domando, molto perplesso, se essere al centro di questo moto emozionale sia un bene o un male.
Metto subito in chiaro che non è per me...ma per un mio amico. Si dice così no?
Davvero, non mi riguarda personalmente, è una domanda che mi sono sempre posto e alla quale non ho mai saputo dare una risposta (e voglio arrivare preparato la prossima volta).
Una domanda che spesso rivolgo alle dirette interessate ma la cui risposta non ho mai capito: forse perché non ascolto? Non sono io la causa scatenante per cui - chi se ne frega?-. E' invidia, forse? Forse.
Perché credo sia bello, faccia sentire importanti essere il motivo, la forza, la spinta che favorisce un cambiamento. Di qualunque natura sia. Certo, se poi il risultato è 'ciao bello, s'è fatta na certa'...magari no. O magari si. Dipende. Tutto chiaro vero? Ecco, è così che mi sento quando mi parlano di queste cose.
Lo so che sono i dettagli a fare la differenza ma non noto mai, e dico mai, quando amica/parente/fidanzata/moglie è appena tornata dall'operazione 'rinnovo'.
E anche se lei è li che mi fissa, senza parlare, ciondolando la testa come in uno spot pubblicitario, con quel dolce odore ovattato che nemmeno un'auto nuova è capace di sprigionare il giorno del ritiro dal concessionario, con un sorriso al limite tra l'isterismo e l'istinto omicida...io niente. Mi giro dall'altra parte o mi limito ad un 'tutto bene?'.
'Certo che no, non vedi che sono appena stata dal coiffeur e ho speso cento milioni di euro per un trattamentoblablablablablablablabla...'.
Quindi la mia domanda è: perché? Perché non capisco? C'è un libro, un sito, una guida?
Qualcosa tipo -La verità, vi prego, sul colore- non so...un aiutino da casa stile quiz televisivo.
Non pretendo di capire appieno il cosmo che si nasconde dietro una scelta tanto drastica qual è quella di recarsi da 'Monsieur Philip Ciseaux - Le Magicien des Cheveux', ma almeno che qualcuno m'indicasse la strada da seguire per evitare che, per l'ennesima volta, non notando la nuova acconciatura o meglio...non notando il nuovo lavoro?fidanzato?marito?viaggio?figlio?vestito?...dall'altra parte una cascata di lacrime e imprecazioni (esagero? mah...) mi faccia sentire in colpa.
D'altronde alla voce 'nome' sulla carta d'identità non c'è scritto Jean Louis. Solo la parte finale. Mmmmhhh...mi sa che mi manca la parte più importante.

domenica 7 ottobre 2012

Every blessed Sunday


La domenica mattina. Un giorno particolare. Molto. Una sorta di “bolla temporale” racchiude quella manciata di ore che separano la prima vera colazione della settimana dal pranzo di famiglia che, col passare del tempo, diventa sempre più un'incombenza dalla quale fuggire il più presto possibile.
Ok, è vero, Fabio Volo parlò della domenica mattina in uno dei suoi libri più famosi...ma se sai di cosa sto parlando fai finta di niente come me: ci siamo capiti.
La domenica mattina, dicevo, per me comincia con un odore: quello dell'erba dei campi da calcio. Ecco, questo profumo di verde bagnato, quello che si sente intorno alle 7 della mattina quando magari ti alzi presto per una commissione, per partire per un weekend o per il semplice fatto che essendo domenica e potendo riposare in tranquillità beh...ti passa il sonno. Si, proprio questo profumo, dicevo, è uno dei pochi che mi connette immediatamente con il passato: piccoli particolari che creano un collegamento così diretto con i nostri ricordi.
L'erba bagnata è uno di questi.
Lo ritrovo volentieri al parco, quando vado a correre e ancora il 99% della popolazione dorme beata nel suo letto perché...”oh, è domenica mattina, voglio dormire”.
Lo so che è diverso, che sono passati anni, che le città sono cambiate, che il migliore amico si è sposato e lo senti ogni tanto tramite messaggio, che lì ormai hanno buttato giù tutto e il cantiere sembra non finire mai. Che dietro casa mia, credimi, ormai non si trova più parcheggio. O che ora che si sono trasferiti in un altro quartiere le brioche (si...non i cornetti o i croissant ma le brioche!) non sono più buone come una volta.
Ma io ci torno volentieri la domenica mattina.
Torno a trovare trovare amici che non vedo da un sacco, il mio cane, le bustine dei giochini che mi aspettavano sul tavolo, il set da pesca (imboscato in un sacco nero in cantina) che funziona ancora perfettamente, l'odore della pasta al forno e il campanello che non smette mai di suonare, delle voci sempre più alte di persone che si salutano e si baciano, si prendono in giro, si raccontano della settimana.
Mi piace la domenica mattina. Questa...domenica mattina.
Perché non cambia. Non può cambiare. E' già cambiata. 

sabato 6 ottobre 2012

Le prime parole non si scordano mai? Si scordano, si scordano...

Non avevo mai pensato che mi sarebbe venuta voglia di scrivere affinché qualcuno leggesse.
Ho sempre odiato le chat, le conversazioni via sms (ora tramite what's up) e, in generale, qualsiasi forma di comunicazione scritta che prevedesse il confronto del mio solitario "io" con altre persone. Ultimamente invece mi è partita la rotella per una sorta di "diario delle elementari", dove annotare cose, persone, avvenimenti...di tutto, insomma.
Evidentemente la testa non contiene più la quantità di cose che ci passano attraverso e necessita di scaricare a terra, diciamo così, tutto il possibile. Non solo...condividerlo, anche. Ed è una cosa molto strana per me, in quanto faccio già molta fatica a a parlare con gli amici, figuriamoci con degli sconosciuti...figuriamoci con degli sconosciuti che vengono a contatto con il mio quotidiano!!!
Certo, non mi metterò mai qui a scrivere cose tipo "io amo lei e lei non ama me", "il mio capo è uno str***o" (anche perché non ho un capo ma comunque str***o lo sarebbe a prescindere) o "Mario, mio figlio si droga", questo no di certo.
Ma le storie di tutti i giorni, i pareri, le sensazioni, quello che quotidianamente mi capita di vivere e di sentire in giro per la città, per le "cento città"...questo si.
Di solito la presentazione di una cosa nuova dovrebbe essere accattivante, avvincente, curiosa...beh, non sono stato lì a pensare come essere fico e cosa dire di super divertente. Ho scritto. E scriverò. E probabilmente sarà come un diesel che ci metterà un po' ad ingranare ma, una volta in marcia, sarà un bel viaggiare.
E comunque, la voglia di scrivere le cose è anche per non dimenticarle. Sto diventando vecchio. E probabilmente rincoglionito. Chissà che questo esercizio non rallenti la caduta, o almeno che ne attutisca il colpo.