Mi
siedo al tavolo di un bar. Non è la classica mattina con tanto di
rassegna stampa, per me imprescindibile soprattutto la domenica (eh,
lo so, sono abitudinario. Leggo la targhetta dentro l'ascensore). Si
tratta di un pomeriggio qualunque, di un giorno della settimana
qualunque, in un bar qualunque per bere un tè. Il tè, però,
dev'essere buono, non può essere un tè qualunque. Almeno i piccoli
piaceri teniamoceli stretti, come vuole la (nostra personale)
tradizione. E di qualità, mi raccomando. La qualità può fare la
differenza.
Accanto
a me, due persone discutono. Parlano in maniera fitta, ma le parole
sono scandite una per una, si capisce tutto. Sembra lo facciano
apposta per farsi sentire da chi li circonda. Sussurrano però, il
che mi fa pensare che non vogliano divulgare il contenuto dei loro
discorsi oltre il raggio del tavolino che stanno occupando. Non
badano alla forma anche se raramente sbagliano dimenticando un
soggetto, non coniugando un verbo con il tempo della frase
precedente. Capita anche che scivolino, ogni tanto, nel dialetto per
rendere più espressivo qualche concetto.
Parlano
d'amore. Amore e musica. Giuro, se avessi avuto di fianco chiunque
altro me ne sarei andato, maledicendo l'intrusione in quei cinque
minuti di tranquillità che avevo deciso di regalarmi.
Invece
sono bastate poche parole, poche frasi semplici ma azzeccate, e ho
deciso di chiudere fuori il mondo per sentire dove volevano andare
con quelle loro filippiche interminabili che però suonavano come una
ballata folk in un pub irlandese poco prima dell'ora di cena. Un
suono caldo, che sa di casa, in un pomeriggio assolato. Che strano.
'Allora,
a che cosa pensi?'. 'A niente'.
'Si,
anche mia moglie non pensa a niente ma poi la vedo che si agita, che
si contorce. Che s'incazza. Sei mia moglie?' gli chiede ridendo.
'Mica
mi agito. Non capisco perché pensi che alla fine tutto debba
cambiare o, addirittura, finire. Se stai bene stai bene no? Stai con
lei da 6 anni, scopare scopate ancora, ridere ridete ancora. Ti manca
quando non c'è. Che cazzo vuoi di più?'.
'Ma
si, ho capito, è che dopo un po' che devi fare? Torni a casa, c'è
lei, la baci. Mangiate insieme. Film, cinema, cena fuori. Sto cazzo
di sushi che ogni volta mi fa stare male. E poi? Figli non ne
voglio'.
'Nemmeno
lei?', lo interrompe l'amico chiedendo, nel frattempo, un altro
caffè.
'Lei
dice di no. A me sta bene così. Ma poi se già adesso sono in crisi
perché non ho più la vita di una volta...pensa con un figlio! E
dove me ne vado? Al manicomio? Così almeno siamo io e lei e basta.
Se c'è da decidere decidiamo in due e per due'.
Il
cameriere non arriva, per cui chiedono all'altro, quello col
grembiule bianco e più garbato, se il caffè è stato segnato. Ah, e
mentre ci sono, anche io gli domando se posso cambiare ordinazione:
fa troppo caldo per un tè caldo.
'Metti
caso che fossimo qui io, lei e il bambino. Loro non bevono l'acqua
frizzante. Io chiedo un bicchiere e il bicchiere arriva. Ho sete.
Dopo il caffè l'acqua frizzante mi serve, mi toglie il gusto'.
'Ma
come ti toglie il gusto' lo interrompe l'altro sorridendo quasi a
compatirlo per la stranezza appena detta.' Allora se non mi fai
parlare non finiamo più. E fatti i fatti tuoi. Posso prendere il
caffè e non volere il gusto in bocca dopo averlo bevuto? Bevimelo tu
allora, dai bevimelo tu'. E gli tira una pallina di carta come
avrebbero fatto due bambini all'asilo per farsi un dispetto. Un
dispetto che sa di complicità.
'Ti
dicevo: loro, l'acqua frizzante, la bevono. Però...se la vedono lì,
appoggiata al tavolo, la possono volere. E stai sicuro che la
vorranno. Capisci, non sarei più libero di bere nemmeno un bicchiere
d'acqua senza doverlo per forza di cose condividerlo. Un bicchiere
d'acqua! Non la luna. Non ci posso pensare'.
Mi
squilla il telefono, perdo l'inizio della risposta dell'amico. E
questo costa una maledizione a chi mi stava chiamando. Non conosco il
numero e non rispondo. Non rispondo quasi mai quando non conosco il
numero.
'Tu
sei malato! Non puoi condividere un bicchiere d'acqua con la tua
famiglia? Con quelli che dici di amare? Ti puoi comprare un bottiglia
e bere quanti bicchieri d'acqua vuoi! Ma che cazzo di ragionamento
è?'. E si gira. Sembra offeso. Effettivamente è un discorso del
cazzo. Si tratta di tuo figlio, della tua compagna. Non estranei. Li
hai scelti tu. Questo penso.
'Non
riesci a capire. Non è il singolo bicchiere d'acqua. È
il momento. Il gesto. Non sei più libero di fare niente. E se non
sei più libero nemmeno di bere un bicchiere d'acqua per conto tuo è
la fine. Pensaci. Oggi è il bicchiere d'acqua. Domani la palestra.
Poi la serata al cinema, la birra con gli amici, la playstation. Sono
tutte cazzate, lo so. Ma la vita non è fatta di cazzate? E se te le
togliessero tutte? Tutte d'un colpo: via. Compresi i tuoi libri, la
tua musica. Pensa se non riuscissi più a trovare il tempo nemmeno
per sentire un cd per intero'.
Mi
spaventa questo discorso. Certo, è assurdo. Amare non dovrebbe
essere un impegno ma una spinta naturale no? Vai con la filosofia!
Ma
la stessa cosa gliela chiede l'amico. La risposta non arriva, perché
il tizio si gira per prendere il portafoglio, lascia i soldi sul
tavolo, si alzano e insieme se ne vanno. Ridono.
Almeno
non hanno litigato. Sembrava potessero farlo.
Ma
non mi hanno detto come andava a finire. Che fate, lanciate il sasso
e tirate indietro la mano? Tornate qui, penso. Almeno datemi un
finale alternativo.
Niente.
Se ne sono andati.
E
adesso? Cazzeggio. Prendo il telefono, mando un messaggio e leggo un
paio di notizie su twitter.
Poi
arriva il cameriere. Mi porta il caffè. Il toast. Ed un bicchiere
d'acqua.
Frizzante.
Nessun commento:
Posta un commento