lunedì 26 novembre 2012

Il calcio. Alla dignità

Non sono un tifoso verace. Mi definirei un appassionato soft.
Scusate, sto parlando di calcio. Ogni tanto  penso che siano scontate cose che magari oggi non lo sono più, come il bacio della buonanotte, il grazie quando si riceve un gesto gentile o la teglia di pasta al forno la domenica a pranzo dalla nonna.
A mia discolpa però ho la più grande e convincente delle scuse: sono un uomo! E, in quanto tale, ho i miei limiti, che spesso (e per fortuna) sono anche la motivazione più immediata a giustificare mancanze genetiche difficilmente sanabili dalla semplice volontà individuale. Non ci sono riusciti quelli primi di me dopo milioni di anni di evoluzione e ci devo riuscire io? Volete dare a me tutta questa responsabilità? Beh, attaccatevi!
Dicevo del tifoso soft. Fino alla fine degli anni '90 non dico che il calcio fosse la mia ragione di vita, ma diciamo che aveva una bella importanza nelle giornate di un quasi ventenne qualunque. Giocavo parecchio e mi divertivo, per cui anche il seguirlo in tv mi dava parecchia soddisfazione. Crescendo e, soprattutto, abbandonando l'attività agonistica ho perso interesse man mano che passavano gli anni e che nei contratti dei calciatori aumentavano gli zeri in maniera inversamente proporzionale all'attaccamento alla maglia del club per il quale giocavano.
Sarà anche per i fatto che la mia squadra non vinceva nemmeno con un fenomeno ad indossare la maglia numero 9? Mmmmhh...non credo. Anzi, dico di no. Anche se magari ogni tanto una botta di negatività contribuiva a darla anche l'amarezza di certe sconfitte inizialmente impossibili persino su Marte, ma sul campo (e ribadisco 'sul campo') nette come la data del quinto giorno del quinto mese del secondo anno dopo l'anno zero (gli amici bianconeri, e non, hanno capito benissimo).
Il campionato italiano ha attraversato, negli ultimi anni, momenti particolarmente difficili (Calciopoli, calcioscommesse, doping sportivo e amministrativo) alternati ad attimi di puro godimento (il mondiale vinto nel 2006).
Nonostante tutto non si è ancora ripreso: soffre di postumi parecchio pesanti, difficili da smaltire senza una cura importante e, soprattutto, senza una seria volontà di essere pulito, leale e competitivo così come tutti gli appassionati sognano essere il proprio sport preferito.
I problemi sono sempre i soliti: i tifosi violenti, gli stadi vecchi e fatiscenti, gli interessi economici spropositati...e la solita montagna di mancanze strutturali e sociali che ben insediate sono nel modus operandi dell'italiano medio.
Solita solfa a parte, mi chiedo seriamente come si possa permettere la seguente indecenza andata in onda questo fine settimana: lo striscione 'dedicato' dai tifosi del Milan a Gianluca Pessotto e al suo tragico incidente.
Va bene, mettiamo che un manipolo di deficienti possa trovare la cosa divertente e ironica: proprio in quanto deficienti dovrebbero rimanere un caso isolato e ben nascosto al pubblico. Un po' come i moderni sostenitori delle teorie nazi-fasciste, i venditori per aziende multilevel, i favorevoli alle centrali atomiche e i fan di Gigi D'Alessio (quest'ultimi mi scusino: scherzo! Ma era un'occasione troppo ghiotta per non approfittarne)
Ma chi permette a delle persone di far entrare uno striscione del genere in uno dei principali stadi italiani  durante una partita così importante? Chi permette che venga esposto in mondovisione per ben 5 minuti? I giornalisti non ne hanno particolarmente fatto menzione per 'evitare di dare risalto alla vicenda'.
Non riesco a trovarlo divertente, provocatorio, ironico, originale...niente di tutto questo. Datelo ogni tanto un segnale importante, fermatele queste partite. Gridate 'basta'. Non per fermare lo sport, ma per porre fine a questa stupidità dilagante che trova nei posticipi (in questo caso) un risalto oltre ogni misura.
Chi verrà punito per questo e come? C'è una cifra che possa ripagare la dignità di un uomo che ha sofferto di un male terribile e che altra soluzione non ha trovato se non tentare di farla finita? E come lui tante altre persone che non giocano in Serie A, ma vivono la mediocrità della vita lontano da tutto e tutti e soffrono allo stesso modo, e forse più, alla vista di una porcata del genere, come possono essersi sentite?
La smettiamo di essere 'i soliti italiani' e cominciamo a fare sul serio? Gli italiani veri?
Cominciamo a portarci rispetto?
Il rischio? Che al prossimo salto nel vuoto non ci sia una macchina ad attutire la nostra caduta, ma una massa di animali pronti a fare scempio di quel che resta di noi. A prescindere dai colori della nostra maglia.
E dall'esito del nostro estremo tentativo di dire basta.










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